Specchio
della psiche e della civiltà
GIUSEPPE PERRELLA
NOTE E
NOTIZIE - Anno XIX – 05 febbraio 2022.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: SAGGIO BREVE/DISCUSSIONE]
(Ventiseiesima
Parte)
55. L’Assemblea dei Santi non
riesce a chiudere Oxford ma i puritani, dopo aver chiuso i teatri, ci riprovano
e il compito dell’inviato del Circolo di Oxford non è facile. Nella mente
dell’inviato del Circolo di Oxford, che veniva da una lunga e sanguinosa guerra
civile e si ritrovava in piena epidemia di peste a sentire il racconto degli
strazi della rivolta di Masaniello, si affacciava il pensiero di come in quegli
anni, negli stessi giorni in paesi così lontani, la bellezza estetica con la
sua effimera promessa di felicità e la bellezza morale con la sua certezza di
vita eterna si intrecciassero con il male, con la sofferenza, con la
distruzione e con la morte, in un contrasto che ne evidenziava all’estremo i
caratteri opposti, l’inconciliabilità e, nel suo modo di sentire, la disumana e
intollerabile commistione.
Fin da ragazzo gli era stato insegnato che solo il
dolore fa comprendere la gioia e, crescendo, aveva letto che, secondo Leonardo
da Vinci, in pittura come nella vita, il brutto si deve accostare al bello per
renderlo evidente; ed era persuaso dell’efficacia nella coscienza di questi
contrasti per un migliore esercizio della facoltà di giudizio, ma la sua
esperienza di vita non era riconducibile a questo consolatorio paradigma degli
opposti, che gli sembrava adatto come modo pedagogico per insegnare la
sopportazione di un malanno passeggero o come criterio tecnico per amministrare
un gioco di luci nell’arte, ma non per gestire quanto stava vivendo.
Il concetto di “intollerabile commistione” emerso alla
sua coscienza non originava da un bisogno di corretta pulizia di contenuti mentali
e orizzonti di pensiero mutuati dalla realtà, ma da una profonda ribellione
interiore al dover subire come testimone dei tempi la barbarie ripugnante e
raccapricciante di menti sordide e abominevoli nella loro perversione.
E allora, dopo aver considerato che avrebbe
desiderato in un colpo solo eliminare dall’umanità quelle cose orrende che aveva
visto durante la guerra civile, che lui chiamava “brutture innominabili”, e che
gli erano state richiamate alla mente dal racconto del barbaro scempio del cadavere
di Masaniello, prese a soffermarsi su un aspetto poco indagato dai filosofi,
quello di un male creduto un bene, che da anni lo affliggeva senza che potesse
trovare interlocutori per poterne discutere: gli atti degli inconsapevoli
distruttori di bellezza.
Lasciando il nostro personaggio alla sua riflessione
privata di uomo del Seicento, riprendiamo lo spunto dei distruttori
inconsapevoli di bellezza, seguendo il nostro filo di commento da visitatori di
quel tempo, a cui accediamo attraverso documenti che ci raccontano di chiese
cattoliche in Inghilterra, prima a lungo disertate e poi del tutto abbandonate
per oltre dieci anni e, infine, ritrovate invase da erbacce e sterpaglie, o divenute
tane di pipistrelli, oppure trasformate in stalle, depositi, taverne o lasciate
a ratti e topi incuranti di gigantesche ragnatele pendenti da ogni dove.
Ogni civiltà, in ogni epoca della storia, presenta
eterogeneità, discontinuità, discronie, eterocronie, contraddizioni, finte
omogeneità, pretese omologazioni, minute peculiarità locali, fino a vicende
personali di singoli, che si intrecciano con i destini di una nazione,
influenzando l’immagine di un popolo. Eppure, seguendo gli storici, non
sfuggiamo alla tentazione di generalizzare ciò che è solo prevalenza,
esprimendo un giudizio complessivo su un periodo, magari con la scusa di
riferirci esclusivamente ad un aspetto che ci interessa in una particolare
discussione o riflessione. Anch’io cado in questa tentazione, e adduco a
giustificazione il riferirmi alla vita artistica, letteraria e teatrale, quando
osservo che la lotta acerrima dei puritani contro ciò che ritenevano immorale
stava distruggendo tutto quanto di buono era stato realizzato e si era
affermato nel periodo elisabettiano.
Dunque, dichiarata la mia consapevolezza circa la
molteplicità di aspetti negativi, poco decifrabili o francamente condannabili
del regno di Elisabetta I – del quale peraltro ho scritto in precedenza rilevando
le contraddizioni – credo che il lettore non mi darà torto se affermo che basta
solo citare la straordinaria valorizzazione delle opere di William Shakespeare,
nella letteratura e nel teatro, e di quelle di Nicholas Hilliard[1],
Antony Van Dyke, Orazio e Artemisia Gentileschi in pittura, per riconoscere alle
corti di quell’epoca il merito del supporto a uno sviluppo artistico senza precedenti
in Inghilterra, con la nascita di nuovi generi e nuove scuole. E, quindi, la
creazione di un patrimonio di cultura da tutelare.
Volere di colpo distruggere tutto quanto perché gli
interpreti e i fruitori di quell’arte, sia per imitazione dei classici sia per convinzioni
personali, non offrono modelli di vita cristiana, mi sembra espressione di un
fanatismo pantoclastico diametralmente opposto alla cultura dell’amore e della
conversione[2],
e che ricorda le prassi dell’estremismo islamico, secondo cui il peccato è nella
forma del comportamento, invece che nell’intenzione del soggetto di compiere il
male[3].
Ho menzionato in precedenza gli attacchi in parlamento
di William Dell, che chiedeva l’abbandono delle Università di Oxford e
Cambridge e la costruzione di nuove e più degne accademie[4], e le
invettive di John Webster, chirurgo e cappellano dell’esercito parlamentare,
che accusava i due Studi cattolici di preparare cattivi ministri col loro
insegnamento teologico, perché i puritani avevano dimostrato l’incapacità della
teologia di condurre al dono della grazia, e li accusava di formare cattivi
scienziati, perché riteneva che insegnassero ancora Tolomeo, invece di
Copernico[5]. Ho anche
riportato la difesa del Circolo di Oxford affidata al pamphlet di
Wilkins e Ward, che dimostrava plagi, errori e contraddizioni dei due
detrattori. Ma la battaglia ideologico-religiosa dei puritani continuava.
Mentre il parlamento promette almeno una riforma di
Oxford e Cambridge dopo la fine della guerra civile, John Webster non deflette
dal suo proposito di ottenerne la chiusura.
Intanto, dopo un tentativo di mediazione tra l’esercito
che minaccia il parlamento e i rappresentanti eletti – impegnati nella confisca
delle terre dei realisti e sordi alla richiesta di edificare una nuova nazione –
Oliver Cromwell con poche dozzine di uomini fa irruzione nella Camera dei
Comuni e prende il potere. Per governare il paese costituisce un corpo di 140
uomini che lui chiama l’Assemblea dei Santi[6]. John
Webster con altri ministri si reca a Londra a predicare per strada che l’Assemblea
dei Santi sta preparando il paese per la monarchia di Gesù, e a questo scopo la
chiesa deve rinunciare ai tributi che attualmente percepisce e le Università di
Oxford e Cambridge devono essere chiuse[7].
Per ottenere l’approvazione generale, Webster
dichiara all’assise dei rappresentanti che solo gli sviluppi dell’alchimia di
Paracelso avrebbero consentito di scoprire l’intimo funzionamento della realtà
naturale, facendo progredire la medicina e tutte le altre conoscenze, ma questa
scienza secondo lui era del tutto ignorata a Oxford. Riesce a persuadere l’Assemblea
dei Santi che il futuro sia nelle conoscenze alchemiche, che lui sponsorizza
come puritane, e non nella morfologia anatomica e microscopica, che attribuiva
alla tradizione cattolica.
John Webster non si rendeva conto di aver commesso per
ignoranza un grave errore, che avrebbe garantito una proroga di sopravvivenza
allo Studio di Oxford. Infatti, quando i membri del Circolo sono chiamati a dare
conto del proprio operato, prima si vantano di avere la medicina più progredita
del mondo, adducendo come prova la rianimazione – che chiamano “resurrezione” –
di Anne Greene dopo l’impiccagione, grazie alle conoscenze e alle tecniche degli
oxfordiani William Petty e Thomas Willis[8],
allievo quest’ultimo di un’altra gloria di Oxford, William Harvey, scopritore
della circolazione del sangue; dopodiché presentano il medico Robert Boyle,
fondatore della scienza chimica, che sta acquisendo a Oxford nuove nozioni
sulla materia che fanno apparire l’alchimia di Paracelso come un antiquato e
velleitario tentativo di ricerca basato su principi e metodi obsoleti.
A quel punto il parlamento sa che a Oxford si lavora
bene, anche se non tutti i suoi membri sono esempi di vita cristiana secondo i
principi del protestantesimo puritano. Il rischio di chiusura è scongiurato per
il momento, ma incombe ancora; tuttavia, se i puritani vogliono mettere in atto
il loro proposito, non hanno un compito facile: o devono persuadere la
maggioranza anglicana e i nobili vicini alla coppia reale, oppure devono ricorrere
a un atto d’imperio del loro capo, Oliver Cromwell[9], che
per il momento non sembra allineato sulle posizioni degli estremisti Dell e
Webster.
Alcune delle tesi critiche dei puritani circa i
costumi del tempo erano a mio avviso condivisibili, e più avanti propongo degli
esempi così che il lettore possa trarne un’opinione personale, ma era sbagliata
la pretesa di imporre le condotte virtuose – cosa mai fatta o comandata da Gesù
Cristo – e ancor più sbagliato era l’uso della forza o della violenza per
affermarle. Cadevano infatti nell’errore di tutti coloro che ritengono si debba
rappresentare a Dio una forma comportamentale corretta secondo la dottrina[10],
mentre il Signore vuole la conversione del cuore alla legge dell’amore e un
comportamento da giusti o santi quale conseguenza di questa intima adesione
spirituale. Ecco, qui di seguito, tre tesi critiche sostenute da questi estremisti
calvinisti.
I puritani accusavano il teatro di essere scandaloso
perché metteva in scena ogni sorta di peccato, idolatrando attrici che si
comportavano da prostitute; accusavano di barbarie il costume dei combattimenti
di cani contro orsi e tori, in cui gli spettatori si divertivano a vedere
straziare delle povere bestie; rilevavano che la morale della corte era in
tutto pagana e aveva trasformato in occasioni di peccato le feste religiose[11],
durante le quali trionfavano ubriachezze, danze lascive e giochi in maschera
per favorire amplessi adulterini.
Non so quanti oggi si sentano di giustificare l’idolatria
di persone che, per ottenere successo e danaro, vendono il proprio corpo, la
barbarie di combattimenti fra animali per divertimento o il sostituire alla celebrazione
religiosa dei burlesque o festini con droga, alcool e prostituzione. In altri
termini, la sensibilità di molti puritani non ci appare oggi come un’insana
psicologia condizionata dal plagio mentale di un fanatismo ideologico, ma
piuttosto come il rigore coscienzioso di chi cerca un’assoluta coerenza tra fede
e azioni. Si consideri anche che tra i puritani vi erano degli ammiratori di
Galileo Galilei; anche se non sappiamo quanto l’ammirazione fosse dovuta al
valore della sua scienza e quanto alla simpatia ideologica per uno scienziato
che aveva subito la censura della Chiesa Cattolica. Ciò che invece mi vede
assolutamente distante è la loro concezione dei rapporti umani, e ancor di più
la loro azione politica. In particolare, l’attacco contro “fratelli” di
confessioni diverse, cosa che non ha nulla di cristiano. In proposito è
opportuno rileggere le parole del Vangelo di Matteo:
“Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e
ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il fratello;
se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia
risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure
costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea sia per te
come un pagano e un pubblicano”[12].
Un altro aspetto che allontana in modo definitivo il
puritanesimo dalla radice cristiana, e per questo alcuni lo hanno ritenuto
cristiano solo nelle apparenze della morale sessuale, è la discriminazione di
censo in base alla ricchezza: con Cromwell possono essere elettori del
parlamento solo uomini che abbiano proprietà immobiliari e terriere di valore
pari o superiore a L200[13], il
che voleva dire escludere dall’elettorato poveri, artigiani, operai e impiegati
della nascente industria tessile, borghesi, commercianti, signorotti e piccoli
proprietari terrieri, lasciando la facoltà solo a ricchi, ricchissimi e nobili.
La società inglese, ancora in gran parte
elisabettiana, resiste a lungo all’offensiva dei puritani, e ciò che accade per
il teatro è specchio fedele della battaglia combattuta in tutti i settori della
vita sociale.
I puritani parlavano di “scandalo del teatro”, ma la
vera ragione del portare in scena modelli di vita non cristiani, e perciò scandalosi,
ossia che allontanano da Dio, è nell’attingere ai classici da parte degli
autori. Come era accaduto nelle arti figurative, l’ispirarsi a un modello finiva
spesso per risolversi in una copia, perché l’autore è così attratto dall’effetto
d’insieme che non vuol privarsi di alcun aspetto dell’originale per timore di non
suscitare più attenzione e interesse. Basti pensare a John Ford che, per non
rinunciare nemmeno ai nomi di personaggi tipici del teatro greco, si inventa un’origine
cipriota di un protagonista. Copiare autori pagani porta in scena una realtà, messa
alla berlina dai greci, di costumi corrotti, che nella società inglese del
Seicento era accuratamente occultata; ed è proprio questo teatrale
palesarla ad attrarre gli spettatori.
Ford in ‘Tis Pity She is a Whore, tradotto con
Peccato che sia una sgualdrina, pone un amore incestuoso[14] al
centro di una tragicommedia in cui anche gli omicidi divertono il pubblico
perché avvengono in circostanze buffe. I puritani, per la diretta esperienza
che fanno frequentando i teatri di nuova tradizione shakespeariana, ritengono
queste rappresentazioni un potente mezzo di indottrinamento al peccato e di
indebolimento delle coscienze, sicché si impegnano predicando, spesso anche all’esterno
dei teatri stessi, la loro condanna e il rischio di finire all’inferno seguendo
quelle opere del maligno.
All’inizio del secolo, i puritani erano riusciti a
ottenere che i personaggi femminili fossero interpretati da uomini, in modo da
evitare che sul palcoscenico vi fosse eccessiva vicinanza fisica tra membri dei
due sessi. Nel 1629 al Blackfriars, un teatro che ospitava autori shakespeariani
in gran voga, fu rappresentata un’impietosa parodia del puritanesimo e dei
puritani, con una feroce caricatura dell’atteggiamento solenne e apocalittico,
del continuo esprimersi con linguaggio biblico, del temere di guardare il corpo
femminile e del vivere di moniti, paure e penitenze. Per giunta, in un ruolo di
donna, solitamente interpretato da un ragazzo, apparve una bella e seducente
attrice francese.
Fu questa, a quanto sembra, la goccia che fece traboccare
il vaso della pazienza dei puritani presenti ed evidentemente già preparati,
muniti e intenzionati a reagire: appena videro uscire l’attrice dalle quinte,
si scatenarono bersagliandola con un lancio selvaggio di uova guaste e mele
marce[15].
Tre anni più tardi, l’avvocato puritano William Prynne
diede alle stampe un libello intitolato Histriomastix, Il flagello degli
istrioni, nel quale, con citazioni dalla Bibbia, dai Padri della Chiesa, e
dai filosofi greci, cerca di dimostrare che tutto il teatro è opera di Satana e
costituisce una forma di culto diabolico. Si legge: “I lavori teatrali sono per
lo più blasfemi e osceni, pieni d’amplessi amorosi, di gesti licenziosi e di
musica, canzoni e balli eccitanti; ogni ballo è diabolico e ogni suo passo è un
passo verso l’inferno; la maggior parte degli attori è costituita da delinquenti
volgari e atei”[16].
Prynne prosegue con una disquisizione dotta ed
eloquente, nella quale si infervora e attribuisce a tutte le attrici l’epiteto “whore”
(prostituta), usando deliberatamente il term of abuse, ossia la
parolaccia bandita dalla lingua scritta, e non un eufemismo come bitch (cagna),
per esprimere il massimo del disprezzo. Prynne non è attento né fortunato,
direi, perché non sa che proprio in quei giorni la regina Enrichetta Maria, la
giovane virtuosa e serafica consorte di re Carlo I, figlia della Fiorentina
Maria de’ Medici regina di Francia, sta facendo le prove come attrice per
recitare in un “masque” a corte. Enrichetta va su tutte le furie e vede nelle
parole dell’avvocato puritano un oltraggio nei suoi confronti, che configura il
reato di lesa maestà.
Nonostante Prynne provi a difendersi dicendo che non
era sua intenzione diffamare la regina, gli viene comminata una pena esemplare:
radiato dall’associazione degli avvocati, gli infliggono la multa esorbitante
di 5.000 sterline d’oro e la condanna (poi revocata)[17] al
carcere a vita[18].
La vicenda è narrata anche da un istrione in teatro,
che ha la sua rivalsa su Prynne facendo ridere tutto il pubblico delle sue
sventure.
L’istrione racconta che l’avvocato puritano era
stato messo alla gogna e che dunque, pur essendo un pessimo attore e per questo
così velenoso contro il teatro, aveva avuto un suo pubblico; poi dice che fu comandato
al boia di tagliargli le orecchie perché aveva offeso la regina oltre che il
teatro, e il boia fu molto contento di farlo perché era ed è un assiduo
frequentatore dei teatri. Così Prynne – dice il comico – è stato tradotto in carcere,
ma anche lì non è riuscito a starsene buono e tranquillo, e ha scritto un’altra
invettiva intitolata News from Ipswich, in cui chiama traditori e lupi
voraci i prelati anglicani e dà il consiglio spassionato al parlamento di
provvedere, appena disbrigate le quotidiane noie burocratiche, a impiccare
tutti i vescovi d’Inghilterra. Ma – osserva l’istrione – anche questo
consiglio, pur se spassionato, conteneva un’offesa alla regina, che aveva
ordinato i vescovi e, dunque, secondo la legge meritava nuovamente il taglio delle
orecchie[19].
Così William Prynne viene riportato davanti al boia,
che lo scruta attentamente da una parte all’altra del viso, grattandosi il capo
pensieroso e, mentre si decide sul da farsi, l’istrione che era presente, giura
di averlo sentito dire: “Parola mia, la prossima volta che taglio delle orecchie
non le faccio così corte, così mi conservo il lavoro per i tagli successivi!”
Ma sono le ultime risate, perché i puritani vincono
in parlamento e nel 1642 ottengono la chiusura di tutti i teatri; inizialmente
il provvedimento è votato come legge di emergenza per motivi bellici, ma poi viene
prorogato e diviene definitivo, rimanendo in vigore nel 1656, quando il nostro
inviato di Oxford si imbarca alla volta di Napoli.
All’inizio della campagna dei puritani per la
chiusura dei teatri, nessuno fra attori, autori e personale di servizio si sente
a rischio di perdere il lavoro, anche perché sa di avere dalla propria parte la
regina Enrichetta Maria, ma poi tutti dovranno arrendersi all’evidenza della
forza parlamentare degli uomini di Cromwell e della loro capacità di persuadere
i rappresentanti di differente opinione[20].
Tutti i membri del Circolo di Oxford sono
preoccupati perché nessun sipario si è più alzato da quattordici anni e ora nel
mirino dei puritani c’è la loro università. L’inviato a Napoli si sente
sollevato perché l’azione avviata dallo Studio partenopeo con il sostegno del
priore della Certosa, e per suo tramite anche della Chiesa di Roma, è andata
ben oltre le sue più rosee aspettative. In fondo, lui non teme più tanto Oliver
Cromwell come i suoi colleghi per due ragioni: la prima è che quando sono stati
chiamati a rendere conto in parlamento del loro operato, le loro convincenti dimostrazioni
di valore nel campo della medicina e della ricerca scientifica hanno indotto il
capo dei puritani a sfiduciare John Webster; la seconda è che verso la fine di
quello stesso anno, dopo essersi pentito di aver affidato il governo del paese
a persone troppo radicali, troppo rigide, poco avvedute, interessate solo all’esecutività
immediata anche se imprudente dei nuovi provvedimenti, Cromwell dichiara
sciolta l’Assemblea dei Santi[21].
Per l’aiuto che verrà dall’Italia, l’inviato del
Circolo di Oxford si ritiene in debito verso il professore suo ospite ospitante
e ormai amico, e sente di dovergli, quale obbligo morale di ricambio, la
diffusione in Inghilterra della vera storia di Masaniello. Allora gli si
avvicina, e rievoca il momento imbarazzante che si era verificato nella prima
occasione conviviale con i docenti dello Studio di Napoli al completo, quando,
non sapendo della presenza di un membro della famiglia Carafa, aveva accostato il
prototipo negativo del nobile a Diomede V Carafa detto Mustaccio:
“Volevo ancora scusarmi – dice dopo aver rievocato
le circostanze – ma non potevo immaginare, e forse il vino, al quale non sono
affatto abituato, aveva un po’ ridotto il mio abituale self-control sui
pensieri da portare in parole…”
“Non devi più menzionare l’episodio: è stata colpa
mia che non ti ho avvertito per tempo. D’altra parte, era assolutamente giusto
e condivisibile ciò che hai detto.”
“Grazie. Ora sono curioso di sapere questo Duca di
Maddaloni cosa abbia fatto dopo quegli eventi tragici: se sia rimasto in autoesilio
a Benevento, se sia andato in Toscana, dove mi hai detto che lui è a capo dello
Stato dei Presidi Reali, se o quando sia tornato a Napoli…”
“Devo riprendere, appena vorrai, la narrazione dei
fatti del 1647. Come hai avuto modo di costatare, non sono vicende tanto
semplici e chiare e, dunque, seguire la giusta sequenza temporale ha la sua
importanza.”
“Me ne rendo conto. Ma non puoi dirmi almeno se è
vivo o morto?”
“Si, posso. Ma è proprio necessario?”
“Non sopporto che sia stato il mandante dell’omicidio
di Masaniello…”
“Va bene: te lo dico. Mi prometti che terrai il
segreto fino a quando andrai via?”
“Lo terrò per sempre, se vorrai!”
“Ebbene, Diomede V Carafa detto Mustaccio è qui.
Sotto di noi. In una delle segrete, ma nessuno sa in quale, per ordine del re
di Spagna.”
“Perbacco!”
“I carcerieri non possono riconoscerlo…”
“Gli hanno tagliato i baffi?”
“Non solo. Gli hanno rapato a zero i capelli e lo
hanno tatuato coi marchi del boia.”
56. Il professore dello Studio di Napoli si è assunto il compito
di far conoscere la scienza di Boyle in Italia. Nel programma finalizzato a scongiurare
la chiusura dell’Università di Oxford, definito nell’assise presieduta dal
decano cui aveva preso parte anche il priore, un compito di cruciale importanza
è dato dal far conoscere le personalità geniali del Circolo di Oxford e le loro
acquisizioni, così da evidenziare il grande vantaggio che il Regno di
Inghilterra può ottenere in termini di immagine e prestigio internazionale dall’accademia
cattolica che i puritani vogliono sopprimere e, allo stesso tempo, creare una
rete di consenso internazionale a protezione dei membri che si sentono isolati
o addirittura perseguitati.
Il professore napoletano si occuperà di far conoscere
l’opera di Boyle al maggior numero di docenti universitari degli stati della
penisola e, a questo scopo, vuol saperne di più sul fondatore della nuova
scienza chimica. Ha cominciato a interrogare l’inviato sulla differenza che c’è
tra la nuova scienza e l’alchimia di Teofrasto Bombasto Paracelso, del quale
conosceva solo la saggia massima: “È la dose che consente a una sostanza di
essere un veleno”[22]. E si
è sentito rispondere che secondo quella tradizione alchemica esistono pochi principi
o elementi fondamentali dell’arte, che si identificano con spirito, zolfo
e mercurio, mentre Boyle è convinto che questi sono in realtà delle miscele
di corpuscoli che gli alchimisti non sanno separare[23].
Un frate con passo rapido e leggero si appressa, si
ferma a distanza, saluta e comunica che un messo, dopo aver ricevuto un
salvacondotto per la Deputazione della Salute, ha lasciato la città alla
volta di Roma per portare al Santo Padre in Vaticano la missiva scritta dal
priore della Certosa e firmata da tutti i professori dello Studio di Napoli. I
due si rallegrano, e poi il Napoletano chiede all’Oxoniano:
“Ascolta ma, detto fra noi,
che tipo è questo Boyle? Non lo immagino. E credi che la sua nuova scienza
chimica avrà un futuro?”
“Avrà un futuro? Ci puoi
scommettere! Che tipo è Robert Boyle, dicevi? Siamo amici. Quando finalmente,
dopo un lungo darsi da fare, Wilkins è riuscito a farlo entrare a Oxford, ha
lasciato tutti di stucco: tornava da un viaggio in Irlanda e noi si credeva si
sarebbe presentato in punta di piedi al nostro primo consiglio; invece arrivò
come l’entusiasta capo di un esercito che prende possesso di una terra che lo
ha invocato. Mentre lui si presentava a noi, le sue schiere erano già al lavoro
per allestire laboratori privati nelle nostre sale, che si andavano riempiendo
di meccanici, soffiatori di vetro e farmacisti venuti al suo seguito, mentre
assistenti e segretarie personali, che poi avremmo visto riempire migliaia di
pagine di appunti con le sue parole, chiedevano chi di noi fosse interessato a
condividere le fatiche e le gioie degli innumerevoli esperimenti che Boyle aveva
progettato e stava già eseguendo altrove…”
“Ma è ricco?”
“All’inverosimile! E investe
tutto quel che può nei suoi studi.”
“Una manna dal cielo per
Oxford!”
“Puoi dirlo forte. Robert
parla benissimo italiano e francese. Lui mi ha insegnato molti modi di dire
italiani e anche a pronunciare il latino, così come lo pronunciate voi. Spesso
in laboratorio parliamo italiano…”
“Sarà un bravo oratore, di
quelli che in cattedra parlano come grandi attori di teatro…”
L’Inglese scoppia in una
risata contagiosa e poi, appena hanno smesso entrambi di ridere, spiega: “Robert
Boyle è balbuziente. Ha un difetto grave, che sorge d’improvviso: si blocca su
una parola e sembra che vada in asfissia, così che per respirare si vede costretto
a rinunciare a pronunciarla…”[24]
“Allora in italiano e in
francese parla benissimo, balbuzie a parte. Ma sai che qui a Napoli non avrebbe
potuto fare il professore allo Studio? O, per farlo, avrebbe dovuto trovare il
modo di nascondere il difetto. Molti qui ritengono che i balbettii rivelino uno
spirito debole, incerto, timoroso, abituato a sentirsi colpevole per
inadempienza o incapacità, e dunque inadatto al compito di professore allo
Studio.”
“Boyle è la prova che questa
teoria è sbagliata. Io credo che quel genere di arresto del flusso della parola
non sia effetto di moti dello spirito, ma si possa paragonare, sebbene sia più
evidente, al difetto che hanno alcuni studenti di musica nel tenere il tempo, o
alla difficoltà che hanno alcuni a fare passi sciolti sempre uguali, o anche
alla naturale mancanza di destrezza nel tiro con l’arco o nel lanciare un
oggetto, non credi?”
“Non sono medico e non ho
conoscenze che mi consentano di avere un parere. Mi sembra ragionevole
paragonarla a un difetto di abilità innate, ma credo sia in gioco una facoltà
diversa dal tenere il ritmo musicale o fare centro al tiro con l’arco. Forse il
criterio del difetto congenito può spiegare un certo numero di casi; magari non
in tutti coloro che si fermano o ripetono sillabe involontariamente si tratta
di inefficienza o debolezza di ciò che consente il fluire dell’eloquio, e in
alcuni casi c’è dell’altro: conosco uno che in guerra è sopravvissuto a una
cannonata, ma da allora ha preso a balbettare. Ad ogni modo, anch’io non credo
che chi balbetta sia inadatto a fare il professore.”
“In Irlanda Boyle ha
conosciuto William Petty, uno del nostro Circolo di Oxford, che gli ha
insegnato la dissezione, inducendolo ad ammirare nell’anatomia la sublime e
inimitabile arte creativa dell’Onnipotente o, come dice lui, dell’Architetto
Onnisciente[25].
E forse anche per aver fatto questi studi ha subito stretto amicizia con Thomas
Willis, lo scopritore del poligono arterioso alla base del cervello. Ma a
ventisette anni ha deciso di accantonare questi metodi di studio tradizionali
per dedicarsi agli esperimenti fondati sull’idea che la materia è composta da
atomi, la cui conoscenza potrà svelarci la sua natura e il suo mistero. Ma di
misteri nei suoi laboratori ne abbiamo visto molti! Robert vuole sempre
condividere con noi il piacere e la sfida della ricerca e ci istruisce su
quanto sta facendo, ma ciò che comunica sono solo idee generali e, solo quando
un esperimento importante riesce, condivide con noi la gioia e i dettagli dell’impresa.
Fin da quando è arrivato, conduce molti esperimenti contemporaneamente, e una
volta ha dichiarato che per un problema di organizzazione ha perso in un sol colpo
500 esperimenti…”[26]
“Che misteri avete visto?”
“La segretezza, ad esempio.
Boyle fa giurare a tutti gli assistenti di laboratorio che manterranno il
segreto per sempre su quanto si fa a porte chiuse durante gli esperimenti. Usa
un codice segreto di denominazione, adottato dai collaboratori per gli appunti
e i protocolli: io ho solo scoperto che l’oro che impiega lo chiama ‘rame’ (copper)
e per rendere faticosa la decifrazione di tutte le carte di laboratorio
interpola parole nonsense come Durca, Baradam, Zahab e
Kesph[27].
“Ma, a parte l’alchimia, lui
quali scienze conosce? Vedi, fin dall’infanzia sono stato educato ad amare e rispettare
tutte le arti del trivio e del quadrivio, ma per me la regina delle scienze è
la fisica.”
“La matematica è la regina.”
“Hai ragione: la fisica è una
principessa. Ma, ciò che voglio intendere è che la scienza basata sull’osservazione
e l’esperimento, e particolarmente l’osservazione della natura e la verifica
che ti porta dall’esperienza alla legge, dal tempo di Archimede fino a Galileo
Galilei, passando per Leonardo da Vinci, con la sua nobile tradizione di
scoperte che hanno consentito il progresso umano, noi la chiamiamo fisica.”
“Si, si: ho inteso
perfettamente. E credo che tu stai pensando: ma questo Boyle che scienziato è
se non sa nulla di fisica, vero?”
“Non l’ho detto io, sei tu a
dirlo!” Sorride il Napoletano.
“E se ti dicessi che è un
fisico eccellente?” Interroga l’Inglese.
“Davvero?”
“Davvero.”
“Allora, mi inchino!” Fa il professore
mimando il gesto di togliersi il cappello e fare una riverenza.
“Ascolta: Boyle aveva notato
che un gas portato ad occupare nello spazio un volume maggiore, riduceva la sua
pressione e, maggiore era il volume, minore era la pressione. Allora ha fatto
degli esperimenti di misura per vedere se il fenomeno seguisse una regola
precisa, e ha registrato che questo comportamento conserva sempre costante il
prodotto tra volume e pressione. E dunque ha ricavato questa legge: la pressione
di un gas perfetto è inversamente proporzionale al suo volume[28]. Sta
scrivendo un libro su questi studi.”
“Allora sarà facile
richiamare l’attenzione di tanti studiosi di paesi diversi su questo fenomeno
di Oxford, non meno che sugli altri, le cui scoperte parlano per loro. Devo
però dirti che, quando ci hai rivelato che Eirenaeus Philalethes è solo uno
pseudonimo di George Starkey, sono rimasto molto impressionato. L’opinione
diffusa qui fra gli studiosi italiani è che questo Philalethes sia un mago, che
da noi vuol dire un ciarlatano che ha ereditato o trovato delle ricette per
fare cose mirabolanti agli occhi dei semplici, per accreditarsi in possesso di
facoltà soprannaturali come il vaticinio, e poter vendere oroscopi. Ora, saputo
che non è così, è cresciuta in me la curiosità su questo George Starkey. Mi
piacerebbe capire chi realmente sia e cosa abbia fatto di rilevante come
alchimista.”
“È vero, Starkey ha usato
degli espedienti per aggirare i pregiudizi, ma è stato soprattutto per due fini
principali: primo, attrarre l’attenzione di studiosi in Inghilterra come Boyle,
in grado di comprendere il valore dei suoi esperimenti e supportarlo
economicamente; secondo, traghettare progressivamente il nucleo scientifico,
che esisteva nelle ricerche alchemiche, dalla tradizione occulta e rituale alla
codifica razionale con verifica sperimentale e vaglio accademico.”
“E lui ha fatto qualcosa di materialmente
verificato e non illusionistico?”
“Altro che! Diamanti
artificiali, nuovi profumi e ghiaccio in piena estate[29]. Ti
sembra poco?”
“No, davvero notevole.”
“Lavora anche per creare
farmaci artificiali. Una volta, mentre produceva un’essenza di rame, che
secondo lui avrebbe potuto avere azione curativa in molte malattie, per i fumi
che si erano sprigionati nel suo laboratorio poco ventilato ha rischiato di
morire. Ma, anche se si trascura e non è molto attento alla sua protezione
fisica in laboratorio, nell’annotare le procedure e le ricette è così preciso
che chiunque possa disporre dei suoi appunti è in grado di ripetere i suoi
esperimenti. Ha redatto con molta cura anche la ricetta di un composto dal nome
suggestivo e che mi piacerebbe preparare: il mercurio filosofico.”[30]
“Come è arrivato a fare
tutto ciò?”
“La sua visione della materia
gli dà il coraggio di ipotesi e verifiche molto ardite. È convinto che tutta
materia sia fatta di atomi e che molte proprietà dei metalli dipendano dal modo
in cui gli atomi sono disposti e dalla loro densità. Lui crede alla storia di antichi
alchimisti che raccontano di aver trovato la ricetta per produrre l’oro – forse
un escamotage per distogliere l’attenzione ed evitare i controlli su oro rubato
e fuso – in quanto ritiene che si possano manipolare gli atomi di un metallo
per trasformarlo in un altro e che la ‘pietra filosofale’ avesse semplicemente
la proprietà di invadere i pori delle strutture metalliche con le sue più
piccole particelle, trasformandole in oro.[31]”
“Starkey ritiene che gli
atomi siano tutti uguali e che le caratteristiche della materia dipendano solo
da come gli atomi sono aggregati e configurati?”
“Credo.”
“E Boyle?”
“No, Boyle forse anche
basandosi sulla dimostrazione di Van Helmont che ciascuna di varie sostanze
produce un gas proprio e specifico, è convinto che esista un certo numero
imprecisato di tipi di corpuscoli differenti alla base della costituzione della
materia. Boyle ha chiamato questi tipi di base della materia “elementi”, ma non
nel senso inteso da Aristotele…”
“Aria, acqua, terra e fuoco.”
Specifica il professore.
“Appunto. Per Boyle gli
elementi sono minuscoli corpi puri non mescolati con altri corpi e che non
possono essere divisi per dare luogo ad altre sostanze.”[32]
“Molto suggestivo. E sembra un
progresso rispetto alla visione di Starkey. Anche se, devo dire: se sulla
materia ha ragione Boyle, possiamo dire addio alla trasformazione del ferro in
oro! In ogni caso, non sarà difficile propagandare il Circolo di Oxford come
orgoglio dell’Inghilterra.”
“Grazie. Il nostro Studio è
conosciuto in tutto il mondo per la scoperta della circolazione del sangue da parte
di Harvey, ma Thomas Willis dice che qualche medico galenico sostiene che manchi
la dimostrazione anatomica di come faccia il sangue a tornare nelle vene. Va di
moda questo dubbio tra i medici del Continente; un dubbio che potrebbe
disturbare l’impresa.”
“A questo credo di avere la
soluzione. Acciaiuoli mi ha presentato un medico di Crevalcore, presso Bologna,
che si reca spesso in Toscana, gli scrivo oggi stesso e gli comunico la tua
presenza qui. È molto giovane ma bravissimo. Si chiama Malpighi ed è convinto
di aver scoperto il nesso anatomico tra arterie e vene…”
“Ha una nuova teoria?”
“No, lui ha sempre con sé De
motu cordis di Harvey: lo conosce a memoria. Da quando ha imparato a usare
il microscopio non fa altro da mane a sera: dice di aver scoperto nel polmone una
struttura ad alveoli e dei vasi sanguigni microscopici; sta scrivendo un libro
o due su queste osservazioni. Secondo lui sono questi vasi microscopici sottili
come capelli che portano il sangue dalle arterie alle vene.”
“Una cosa eccezionale! Lo
inviteremo a Oxford.”
“Intanto, bisogna che
finisca questa epidemia!”
Così detto i due, senza aggiungere
altre parole, avveduti dell’ora, si recano in cappella. Dopo le orazioni, uscendo,
avvistano il priore che con altri tre frati viene verso di loro dalla Certosa
di San Martino, entrando nel perimetro del Castel Sant’Elmo. L’inviato è felice
di incontrarlo e affretta il passo, andandogli incontro:
“Padre, ho pensato a quei fanciulli
che sono anche buoni figlioli, non molto bravi nello studio e che da grandi
invece di seguire i virtuosi seguono i malandrini…”
“Hai fatto bene figliolo!
Sei riuscito a vederli con la mente, e a riconoscerne qualcuno?”
“Si, padre. Alcuni erano infatti
anche promettenti per qualità morali da ragazzi, ma ora sono distruttori di
bellezza. Ne abbiamo centinaia in Inghilterra, nell’esercito e in
parlamento. Forse, se qualcuno aprisse loro gli occhi, vedrebbero che ciò che
fanno, chiamandolo bene, è invece un male…”
“Nessuno può aprire loro gli
occhi. Eccetto lo Spirito Santo. Perché la loro mente vive da tempo come in un
sonno vigile, dal quale non ci si sveglia con le semplici parole del buon
senso: la loro mente non pensa, ma appartiene a qualcosa, a qualcuno, a
delle idee, a dei pensieri; deve uscire da quell’appartenenza e compiere lo
sforzo, assaporandone il gusto, di ricominciare ex-novo a produrre
pensiero, a generare idee proprie. A fare dei ragionamenti veri su fatti nuovi,
e non a usare frammenti di pensieri già pensati e assunti nell’habitus, nell’abitudine
della mente.”
“E non crede, padre, che se
uno – mettiamo sia io stesso – fa riconoscere loro di star distruggendo bellezza,
possano rendersene conto, uscire dal sonno vigile ed entrare in una indipendenza
di coscienza?”
“È sempre l’uomo il mezzo
dello Spirito. Ma quale uomo, in quale tempo possa esserlo non lo so di certo
io. Io so solo che bisognerebbe indurre ciascuno a interrogarsi se si è
distruttori di bellezza, di amore, di pace, individualmente; perché in ciascun
uomo c’è la risposta e, anche se sembra essere la stessa per tanti, è nella
realtà un evento sempre diverso, perché appartiene all’unica e irripetibile
essenza di ciascuno. Buona giornata, figliolo!”
57. Un edificio che ancora troneggia nel cuore di Napoli racconta di un
radicale cambiamento di forma, ma cosa ne è stato della sostanza? Appena tornati
al loro alloggiamento, l’Oxfordiano chiede di riprendere il racconto dei fatti
del 1647; la sua missione, probabilmente con altri eventi simili di cui non
abbiamo alcuna traccia storica, potrebbe spiegare l’enorme popolarità che ebbe
la rivolta di Masaniello nell’Inghilterra di Cromwell. Il puritano inglese
cercò in tutti i modi di accostare la propria figura politica a quella del
pescatore napoletano, probabilmente per la reputazione di paladino di una giusta
causa. Oggi, alla luce della conoscenza storica di due realtà tanto diverse, ci
riesce molto difficile trovare giustificazioni all’accostamento, e perfino individuare
un qualche punto di contatto tra un estremista calvinista che aveva riservato
il parlamento solo ai ricchi e un pescatore cattolico che aveva portato il
popolo, con i poveri in testa, a insorgere contro tasse che li avevano ridotti
alla fame. Tuttavia, le narrazioni di propaganda puritana, come attesta una
copiosa documentazione storica, sfruttarono Masaniello ed ebbero diffusione in
tutta Europa.
L’esempio che mi ha più
colpito è una medaglia coniata nei Paesi Bassi. Da un lato è raffigurato il
volto di Oliver Cromwell incoronato da due soldati, con l’esergo che recita: Oliver
Cromwell protettore d’Inghilterra, Scozia e Irlanda 1658; dall’altro lato,
il volto di Masaniello incoronato da due marinai e la scritta: Masaniello
pescatore e re di Napoli 1647[33]. Lo
stesso Benedetto Spinoza, per rimanere all’Olanda, si considerava “il
Masaniello della Metafisica”.
Ma torniamo ai nostri due
protagonisti e al racconto del professore napoletano. L’Inglese chiede:
“Cosa accade dopo la morte
di Masaniello?”
“Il popolo avrebbe potuto
rendersi conto subito, il giorno dopo, di essere stato ingannato: l’uccisione
di Masaniello voleva dire piena restaurazione. La mattina successiva le donne
recandosi al mercato trovarono che la palata di pane non era più di 32 once
come aveva stabilito il capopopolo, ma di 30, ed era stata reintrodotta la
gabella sulla farina.”
“Mi hai detto della fuga dei
traditori, ma i suoi cosa fanno?”
“Te lo dico tra un po’. Vedi, noi Napoletani custodiamo una
memoria mitologica legata al fiume Sebeto, che secondo gli antichi con impeto entrava
a lavare e purificare le macchie e le colpe dei Partenopei. È così viva questa
tradizione che nel 1635 è stato incaricato l’architetto Cosimo Fanzago di
progettare una fontana con una grande statua rappresentante Sebeto, all’uso
allegorico dei Greci, come un possente uomo maturo disteso, come lo sono i
fiumi, a sorvegliare la sua diletta Partenope, ninfa emersa dal mare. Il figlio
di Cosimo Fanzago, Carlo, diresse i lavori di questa fontana posta sulla Via
Gusmana e fatta come un arco attraverso il quale puoi vedere il cielo e il mare,
e dinanzi troneggia con la sua lunga barba l’allegoria che, pure se nello stile
dei modelli arcaici, ricorda le forme delle statue delle tombe medicee di
Michelangelo Buonarroti. È una fontana che devi assolutamente vedere[34]. Il
fiume, anche se oggi pare più un torrente, scorre nel cuore della città, in
parte separando la Neapolis dalla parte vecchia, detta Palepolis,
e poi sfociando al mare nel porto, non lontano dal molo dove ha attraccato la
tua nave…”[35]
“Un piccolo affascinante corso d’acqua che vorrò
esplorare con molto piacere, finita l’epidemia.”
“Tra il V e il IV secolo a.C. doveva essere un fiume
come il Tevere per Roma o l’Arno per Firenze, perché abbiamo delle monete celebrative
di quell’epoca, su cui si legge anche il suo antico nome greco Sepeithos,
che vuol dire pressappoco l’impetuoso. Poi, evidentemente, le macchie e
le colpe da lavare dei miei concittadini erano così tante da aver in parte
prosciugato il suo corso. In ogni caso, indipendentemente dai valori simbolici
e dalle credenze leggendarie la purezza delle sue acque, come se emergessero da
una sorgente di roccia è indiscutibile.”
“Perché me ne hai parlato?”
“Perché il popolo, quello vero, non gli infiltrati
di Carafa o i traditori assoldati per ucciderlo, insieme con la famiglia e i
suoi amici più cari, recuperano il corpo di Masaniello, si fanno restituire la
testa mozzata dal Viceré e ricompongono la salma dopo averla accuratamente
lavata con le acque del Sebeto.[36]”
“Ah, ecco. Ora capisco.”
“Poi si recano da Filomarino. Alcuni del popolo
capiscono di essere stati ingannati, ma nessuno conosce il piano degli
infiltrati, che sarà sospettato solo dopo molti giorni, quando vedranno, uno ad
uno, scomparire dal vicinato e dalla città quelle centinaia di persone che avevano
visto soltanto nei giorni della rivolta. Sanno che l’Arcivescovo Ascanio
Filomarino è in perfetta buona fede ed era rimasto sinceramente scosso e
sorpreso dalla follia del pescatore, allora ritengono necessario supplicarlo
per ottenere che si possa celebrare il funerale di un figlio di Napoli, che aveva
amato davvero il suo popolo. Filomarino, non solo non si fa pregare più di
tanto, ma dispone per il 18 di luglio la più solenne delle cerimonie funebri, per
la quale fa obbligo di partecipazione a tutti i sacerdoti sotto la sua
giurisdizione arcivescovile. Poi, a titolo personale, esorta tutti, religiosi e
civili, a unirsi a loro nella preghiera. Due ore prima del tramonto, la bara
esce dalla chiesa del Carmine e subito si forma un corteo di decine di migliaia
di persone[37],
che va sempre ingrossandosi, fino a costituire una moltitudine come non si era
mai vista prima, neanche per i funerali di un re.”
“Non riporta in vita Masaniello, ma almeno
restituisce dignità nella morte a chi la dignità l’aveva dimostrata in vita.”
Dichiara l’Inglese con tono soddisfatto.
“Filomarino continua a scrivere le sue lettere quotidiane
al Papa e, nella lettera del giorno dopo, di cui ho qui una copia, senti cosa
scrive: Da questo incidente del pane n’è risultato che, dove la morte del
Masaniello non era stata sentita… il mercoledì l’incominciarono a piangere, a
sospirare, esaltare e preconizzare; e desiderando la sua sepoltura, di cui
prima non si curavano, vennero a chiedermela in grazia, timorosi che per gli
uffici fatti io non fossi per concederla; ma gliela concedei di buona voglia e
prontamente.”[38]
“La lettera conferma la sua buona fede. Rimane però la
macchia di aver ringraziato Dio per l’omicidio di Masaniello, considerandola l’estinzione
di un ‘perturbatore’, non credi?”
“Lo credo. Infatti, non me lo spiego.”
“Ma prego, continua a dirmi del funerale.”
“Lo portarono in processione come se si fosse
trattato delle spoglie di un santo, e poterono farlo forse perché gli infiltrati
di Carafa avevano ormai smesso di agire ed erano rimasti in disparte, pronti a
dileguarsi al comando di ‘missione conclusa’. Il corteo funebre fece il giro d’onore
dell’incoronazione dei re e dei viceré,[39]
attraversando i sei seggi di giustizia; poi percorse la Via Toledo e, quando
giunse al Palazzo Reale, il viceré, quello stesso duca d’Arcos che si era fatto
portare la sua testa mozzata, diede ordine di abbassare tutte le bandiere
spagnole in segno di lutto e rispetto per il Capitano del Popolo defunto.[40]”
“Ma come è stato possibile un simile cambiamento?” Chiede
l’Oxoniano.
“Me lo chiedi? Ormai dovresti averlo capito.”
Risponde il Partenopeo.
“Temo di aver compreso.”
“Un poeta scrisse un componimento in napoletano per
descrivere l’assurdità di questi fatti; ricordo che finiva così: Hoje se vede
senza capa ‘nterra, / Pe tutta la cetate se trascina; / Craje da Generalissimo
s’atterra.[41]
Vuol dire: oggi si vede senza testa in terra / Per tutta la città si trascina /
Domani da Generalissimo si interra.”
“Evidente: lo hanno ucciso traditori e infiltrati,
mentre il popolo vero lo piange. E le sorelle e la moglie, cosa fanno?”
“A testimonianza del fatto che doveva morire chi
sapeva quello che sapeva Masaniello, e per cui era stato ucciso, le due sorelle,
Antonia e Grazia, erano braccate da sicari. Fuggirono di notte a Gaeta, ma i
sicari le raggiunsero e le uccisero.”
“E Bernardina Pisa, la moglie?”
“Fu risparmiata perché incinta, ma dicono costretta
da sgherri spagnoli a prostituirsi. Nessuno l’ha più vista. Qualcuno l’aveva
identificata in una prostituta del Borgo Sant’Antonio Abate, ma non si è certi che
fosse lei. Qui mi è arrivata notizia, poco prima del tuo arrivo a Napoli, che
la poverina era tra i morti di peste.”
“Terribile. E il Mustaccio?”
“Appena riceve la notizia
dell’uccisione di Masaniello, Diomede V Carafa prepara il suo rientro a Napoli
in pompa magna e decide di cambiare radicalmente il rapporto con la città, cancellando
l’immagine e la reputazione che aveva avuto la sua famiglia fino allora, rappresentandosi
in modo del tutto diverso. A questo scopo può investire ingenti risorse, grazie
anche al compenso ottenuto dal viceré per i servigi resi in quei giorni. Vuole che
non si associ più la sua persona agli orribili fatti di sangue della rivolta,
alla dimora nel quartiere dei negromanti e alle nefandezze compiute, ma vuole che
il suo nome sia associato a immagini positive quali quelle di cui godono il
Rinascimento fiorentino a Napoli, espresso in Sant’Anna dei Lombardi, e la Via Toledo
che, inondata da quel sole che viene direttamente dagli spazi aperti fino al
mare, è ogni giorno percorsa dalle carrozze più eleganti, dalle fanciulle più
belle, dagli artisti più in auge, dalla nobiltà europea più raffinata, dalle
famiglie di ricchi mercanti che vengono qui per comprare, direttamente nelle
botteghe di Fiorentini, Veneziani e Catalani che vivono e lavorano a Napoli,
oggetti d’arte e artigianato rari, acquistati a volte per rievocare un viaggio,
ma provvisti della virtù di evocare un sogno.
Sì, questo è il fascino di
Napoli: il sogno di vivere di luce, colori, suoni, sapori, profumi, incanto e
bellezza. Quel sogno che proprio i tanti Diomede Carafa della nostra storia hanno
contribuito a distruggere. Ma il Mustaccio non pensa a questa evocazione tipica
della mente dello straniero, ma alla visione positiva dei concittadini,
napoletani o immigrati che siano, di quella parte della città. Vuole che sia la
cornice entro cui ricollocare sé stesso e la sua famiglia.”
“Come pensa di fare una cosa
simile? E, soprattutto, ci riesce?”
“Il ricchissimo banchiere fiammingo
Gaspare Roomer è proprietario di un enorme edificio monumentale che ha un lato
prossimo a Sant’Anna dei Lombardi, il regno dell’arte fiorentina a Napoli, e una
facciata su Via Toledo. È l’ideale: principesco e collocato strategicamente
secondo l’idea del Carafa. Roomer non è intenzionato a venderlo perché, ritornata
la pace dopo la sommossa, ne vuole fare la sede di una strabiliante collezione
d’arte con pezzi pregiati che vanno dalla Roma antica a Caravaggio; ha anche
deciso di fare affrescare alcune sale con storie di Mosè, oltre che con una grande
battaglia, e ha già preso accordi con Aniello Falcone, il miglior pittore napoletano
d’affresco del momento.”
“Per fortuna!” Esclama l’Inglese.
“Eh no, ascolta. Cosa fa il Carafa?
Va da Roomer e gli offre la sua Villa Bisignano, in un villaggio poco lontano
dalla città[42],
nel verde, dove vi sono sale che prendono una luce ideale per gli affreschi di Aniello
Falcone[43], e lo
convince che è la migliore soluzione per ospitare una collezione d’arte. Il
Fiammingo accetta e Diomede V prende immediatamente possesso dell’edificio
monumentale, che diventa il Palazzo Carafa di Maddaloni, ufficialmente acquistato
solo quest’anno attraverso un’asta pubblica, ma questo è un dettaglio[44]. Un
altro motivo di immagine, per cui il Mustaccio volle quel palazzo, è che era
stato la dimora di Cesare d’Avalos[45], considerato
un eroe per aver partecipato nel 1571 alla vittoriosa Battaglia di Lepanto con
la Lega Santa contro l’Impero Ottomano, e ricordato in città per essere stato
Gran Cancelliere del Regno di Napoli e Cavaliere dell’Ordine Militare di
Alcantara.”
“Il fratello decapitato al suo
posto e lui acquista una nuova reputazione… un vero diavolo. Ma ora è carcerato.”
“Questa è un’altra storia. Il
valore simbolico del mito di Masaniello sicuramente farà parlare le prossime
generazioni[46].
Ma ora i frati ci stanno chiamando, bisogna che si vada.”
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella
Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura degli scritti di argomento connesso
che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno
nella pagina “CERCA”).
Giuseppe Perrella
BM&L-05 febbraio 2021
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La Società Nazionale
di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience,
è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data
16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica
e culturale non-profit.
[1] Meno noto in Italia degli altri
che ho citato, fu pittore di corte autore dei due ritratti più noti di Elisabetta
I, del ritratto di Giacomo I e di numerose miniature; orafo e gioielliere,
realizzò celebrati gioielli per la regina e il famoso Drake Pendant su
commissione di sir Francis Drake.
[2] La storia dell’affermazione
della cultura cristiana in Italia, da Costantino in poi, non è una storia di
distruzione ma di conservazione e reinterpretazione delle forme dell’arte e del
pensiero del sostrato greco-romano: una sorta di “redenzione culturale”. Un
esempio efficace è quello delle ville patrizie napoletane che esibivano all’ingresso
il busto di Giano bifronte, a sua volta derivato da una divinità dei confini pre-ellenica:
quando si decise di rimuovere le statue pagane da tutti gli edifici, la Chiesa
locale, non intendendo distruggere quelle sculture di indubbio valore
artistico, a Giano bifronte conferì l’identità di San Matteo. Con una benedizione,
di colpo, tutti i Giano divennero Matteo, e da questo deriva l’altrimenti incomprensibile
detto antico napoletano: “San Matteo tiene due facce”.
[3] Se un musulmano mangia inconsapevolmente
un cibo contenente carne di maiale, commette peccato; se un cristiano mangia inconsapevolmente
un cibo che contiene carne in un giorno di astinenza dalle carni, come il
venerdì di quaresima, non commette peccato, perché non era consapevole. Per il
cristiano, il peccato – ossia il male fatto a Dio – è nell’uomo che lo
compie con la sua consapevolezza e la sua volontà; per il mussulmano il
peccato è nel fatto, anche se accidentale o involontario. Questa differenza
è molto più importante di quanto appaia sulle prime, perché rimanda a due
differenti paradigmi di realtà e di pensiero, e non solo a differenze nel credo
morale.
[4] Cfr. Carl Zimmer, Soul Made Flesh – The Discovery of the Brain and
How It Changed the World, p. 123, Free Press (Simon & Schuster), New York
2004.
[5] Cfr. Carl Zimmer, Soul Made Flesh, op. cit. pp. 123-124.
[6] Cfr. Carl Zimmer, Soul Made Flesh, op. cit. pp. 124-125.
[7] Cfr. Carl Zimmer, Soul Made Flesh, op. cit. p.125.
[8] Cfr. Carl Zimmer, Soul Made Flesh, op. cit., p. 125.
[9] Cambridge non correva gli stessi
rischi di Oxford perché Oliver Cromwell, prima di convertirsi al puritanesimo,
era stato studente a Cambridge, dove aveva ancora molti amici che erano stati
suoi sodali nel libertinaggio della gioventù; nel 1638 scrive: “Voi sapete
quale sia stata la mia condotta. Oh, ho vissuto in un’oscurità amata e in una
luce odiata; ero il capo, il capo dei peccatori. Questa è la verità: odiavo la
devozione; eppure Dio ebbe pietà di me”. (Thomas Carlyle,
Oliver Cromwell’s Letters and Speeches (in 3 voll.), vol. I, p. 98, Abbott,
1845).
[10] L’esempio più eloquente e paradigmatico
per i cristiani è quello dei farisei. Il formalismo farisaico è ipocrisia
dinanzi a Dio, perché antepone la rappresentazione virtuosa di sé agli uomini alla
sostanza dell’oblazione di sé a Dio. La deriva politica della religione
ebraica porta al progressivo passaggio dal valore di sostanza spirituale nell’intimo
rapporto del singolo con Dio (il sublime nistar, il giusto nascosto che
non appare agli uomini) al valore di rappresentazione del rispetto formale
delle regole. Anche nei duemila anni di storia cristiana, quando è prevalso un
uso politico della religione si è persa la sostanza spirituale, a volte
semplicemente annacquandola, altre volte cancellandola del tutto.
[11] Cfr. Will e Ariel Durant, L’Apoteosi Inglese, libro I, in L’Avvento della Ragione, Vol. I, pp. 219-221, in Will Durant (a cura di), Storia della Civiltà, Edito-Service Editore, Ginevra per Arnoldo Mondadori, Milano 1963.
[12] Matteo 18, 15-17.
[13] La sterlina, il cui nome in
inglese deriva dalla locuzione pound of sterling silver, che significa
una libbra di argento al 92,5% con il 7,5% di rame, si siglava con la “L” maiuscola
in corsivo, che vuol dire “libbra”.
[14] L’incesto in Inghilterra non era
un’assoluta rarità come nell’Europa cattolica e non era considerato un’ignominia
da nascondere, basti pensare che, due secoli dopo, l’amore incestuoso di George
Gordon Lord Byron è apertamente menzionato nelle biografie, anche in quelle in
cui, in ottica agiografica, non si dice che fosse claudicante.
[15] Cfr. Will e Ariel Durant, L’Apoteosi
Inglese, libro I, in L’Avvento della Ragione, Vol. I, op. cit., p. 219.
[16]
Cit. in J. W. Allen, English Political Thought, p. 279, Routledge 1938 e
in Lingard’s History of England (John Lingard & Henry Norbert Birt) VIII,
p. 190, G. Bell & Sons, 1930; in italiano: Will e Ariel Durant, L’Apoteosi
Inglese, libro I, in L’Avvento della Ragione, Vol. I, op. cit., p. 220.
[17] Fu scarcerato qualche anno dopo
dal cosiddetto “Lungo Parlamento”; tuttavia, c’è motivo di credere che, fin
dall’inizio, la regina avesse intenzione solo di dargli una lezione e non di condannarlo
veramente all’ergastolo. Probabilmente se non avesse scritto in carcere la
seconda invettiva sarebbe stato scarcerato subito.
[18] Cfr. Will e Ariel Durant, L’Apoteosi
Inglese, libro I, in L’Avvento della Ragione, Vol. I, op. cit., p. 220.
Negli anni Sessanta del Novecento fu calcolata l’equivalenza delle 5.000
sterline di allora con 250.000 dollari.
[19] Cfr. Will e Ariel Durant, L’Apoteosi
Inglese, libro I, in L’Avvento della Ragione, Vol. I, op. cit., p. 220.
[20] La chiusura dei teatri è
deliberata infatti nel 1642, undici anni prima della presa del parlamento da
parte di Oliver Cromwell, che si vuole abbia istaurato la dittatura quando fece
irruzione alla Camera dei Comuni con la celebre frase pronunciata con le armi
in pugno: “I say you are no Parliament.” (Carl Zimmer, op. cit., p. 124).
[21] Carl Zimmer, op. cit., p. 126.
[22] Viene citato come il primo
riferimento noto di formulazione del concetto di dipendenza dalla dose dell’effetto
di una sostanza. Oggi il concetto di tossico o veleno è molto ben definito: una
sostanza in cui l’intervallo di misura tra la dose minima efficace (DE) e la
dose letale (DL) è molto breve.
[23] Carl Zimmer, op. cit., p. 141.
[24] Fu Lorenzo Magalotti che, dopo aver
conosciuto Robert Boyle a Oxford, rese nota la sua padronanza dell’italiano e
del francese, così come la balbuzie, a proposito della quale scrisse che “…sembrava
prossimo a scoppiare tanto da indurre compassione nell’ascoltatore” (cit. in Carl
Zimmer, op. cit., pp. 139-140). Si trattava di una forma “tonica”, ossia con
arresto del flusso di parola e del respiro; è invece “clonica” la forma caratterizzata
da cloni di una sillaba o un fonema ripetuto; in molti casi si tratta di forme
miste tonico-cloniche.
[25]
Cfr. Carl Zimmer, op. cit., p. 138.
[26] Cfr. Carl
Zimmer, op. cit., p. 139.
[27] Ad esempio, scrive: Durca being freed from their sulphureous Baradan
will afford Zahab or Kesph (Cfr. Carl Zimmer, op. cit., p. 139)
[28] Mariotte aggiunse poi che questo
avviene a temperatura costante, da cui l’enunciato che prende il nome di
legge di Boyle-Mariotte.
[29] Cfr. Carl Zimmer, op. cit., p.
136.
[30] La ricetta del “mercurio
filosofico” era una scheda così dettagliata, precisa e moderna per preparazioni
di mercurio per termometri ed altri usi scientifici che gli storici misero in
dubbio la paternità di George Starkey, ben conosciuta invece da un fisico che si
limitò semplicemente a copiare la ricetta traendone il massimo profitto: Isacco
Newton (Cfr. Carl Zimmer, op. cit., p. 137).
[31] Cfr. Carl Zimmer, op. cit., p.
137.
[32] Cfr. Carl Zimmer, op. cit., p. 141.
[33] Le due facce della medaglia con
le scritte in lingua originale si possono vedere anche sul sito Historical
and Commemorative Medals di Benjamin Weiss.
[34] La fontana del Sebeto, che si
può ammirare in Largo Sermoneta al termine della Via Francesco Caracciolo a
Napoli, dove è stata collocata nel 1939, era inizialmente sita sulla Strada
Gusmana, detta poi Salita del Gigante, che è l’odierna Via Cesario Console, che
va dalla Piazza del Plebiscito all’affacciata al mare.
[35] La foce è stata colloca dagli
storici in corrispondenza dell’odierna Piazza del Municipio.
[36] Ottorino Gurgo, Lazzari – Una
storia napoletana, p. 106, Guida Editori, Napoli 2005.
[37] Aurelio Musi, La rivolta di
Masaniello nella scena politica barocca, p. 127, Guida Editori, Napoli
1989.
[38] Ascanio Filomarino, op. cit.,
lettera del 19 luglio, p. 389.
[39] Aurelio Musi, op. cit., p. 128.
[40] Ottorino Gurgo, op. cit., p. 107.
[41] Ottorino Gurgo, op. cit., pp.
108-109.
[42] Si tratta dell’attuale quartiere
periferico di Barra che, anticamente e fino al 1925, era un comune in provincia
di Napoli.
[43] Nella Villa Bisignano Aniello
Falcone realizzerà infatti una grande battaglia e cinque episodi della vita di
Mosè.
[44] La registrazione avviene con l’asta
pubblica dell’11 febbraio 1656, ma nel 1647 è già avvenuto lo scambio di residenza
e Aniello Falcone comincia a lavorare alla villa Bisignano.
[45] Quinto figlio di Alfonso III d’Avalos
e Maria d’Aragona, Cesare d’Avalos fece costruire il palazzo ottenendo in enfiteusi
dai monaci del convento di Monteoliveto, annesso alla chiesa di Sant’Anna dei Lombardi,
una parte del terreno olivetano denominato “Carogioiello” (Cfr. Donatella
Mazzoleni, Palazzi di Napoli, p. 127, Arsenale Editore, Milano 1999).
[46] La forza simbolica del mito di Masaniello
è evidente a un secolo e mezzo di distanza, al tempo della Rivoluzione napoletana
del 1799, quando la repressione nel sangue da parte dei Borboni giunge alla barbarie
di accanirsi sulle spoglie mortali di Tommaso Aniello d’Amalfi custodite nella
chiesa del Carmine, gettandole nel fango. I frati posero nel 1961, nel centenario
dell’Unità d’Italia, una lapide nella sede dell’urna divelta con questa iscrizione:
“MENDACE
RIPARAZIONE DI UN DELITTO PREORDINATO IL SEPOLCRO DI MASANIELLO QUI ERA MA FU
TOLTO PER MIRE POLITICHE DI UN DISPOTICO SOVRANO NEL 1799 DURANTE LA RIVOLUZIONE
PARTENOPEA”.